09/10/2017 Editoriale

La libertà di scelta è nella natura umana, così come dell’uomo è la forza per ridurla

Il mondo ci lancia negli occhi le immagini agghiaccianti di milioni di bambine spinte in una vita non scelta. Vite decise da una famiglia che non ama e non protegge i loro componenti più fragili, oppure pensa di farlo in questo modo. Vite destinate ad appartenere ad altri – il marito, i suoceri – perché l’appartenenza a se stesse è rivoluzionaria. E’ il mondo infinito delle spose bambine, un mondo senza confini se non quelli violenti della cancellazione della propria identità: milioni di bambine in tutto il mondo private della libertà di scegliere la propria vita.

I principi cardine che muovono le democrazie in un costante allargamento dei diritti essenziali non possono essere soggetti a contrattazioni territoriali o religiose, ma devono essere riconosciuti come diritti fondanti dell’essere umano: l’uguaglianza, il diritto ad una vita libera, il riconoscimento dell’identità. Interrogarsi, fermarsi a riflettere su quanti di questi principi sono concetti astratti per milioni di persone, non è mai un esercizio fine a se stesso. Io, donna libera, ho il dovere morale di fermarmi e percepire nel mio sentire più profondo il senso di disperazione che vivrei nell’essere privata di questi principi per me scontati. E’ un dovere che sento da persona, prima ancora che da Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. E’ un dovere dare voce a questo sentimento, perché l’attenzione dei Governi sia sempre alta e spinta ad arginare ovunque questo fenomeno.

Ma è mio dovere anche interrogarmi, da madre, sulle ragioni che spingono una famiglia a costringere una figlia in una vita non scelta, a costruire una famiglia non voluta. Un interessante articolo pubblicato dall’Osservatore Romano lo scorso 26 gennaio evidenziava tre ragioni principali per cui le famiglie scelgono per le proprie figlie matrimoni precoci. Il primo, sorprendente,  motivo è l’estrema fragilità delle abitazioni di fronte ai disastri naturali che impediscono ai padri -  sempre e solo loro - di riuscire a mantenere la famiglia (Merry before your house is swept away  https://www.hrw.org/world-report/2016/photo-essay-child-marriage-bangladesh ). La seconda ragione evidenziata nell’articolo è la difficoltà a mantenere l’incolumità delle bambine e di conseguenza la loro purezza, elemento essenziale per poter aspirare ad un matrimonio, condizione considerata unica a garantire reale incolumità. Il paradosso palindromo di questa considerazione è proprio che per la maggior parte di queste bimbe il matrimonio garantirà loro una vita tutt’altro che libera da violenza ma, al contrario, pervasa da questa e senz’altra prospettiva futura. Infine la terza ragione, quella più sottile, violenta: dare le proprie figlie in matrimonio prima che abbiano solo l’idea dell’amore, in modo da garantire la loro illibatezza non solo fisica ma anche sentimentale. E questo è l’abuso che ritroviamo declinato in mille forme di violenza alle bambine: dalla pratica dell’infibulazione allo stigma sociale che subiscono le vittime di violenze o le ragazze madre; la “lettera scarlatta” che segna il destino ancora oggi di milioni di donne nel mondo.

Nella nostra cronaca nazionale, nel nostro quotidiano, abbiamo assistito a diversi casi di bambine che si sono ribellate, aiutate da un tessuto sociale capace di dar loro ascolto e aiuto per agire contro le decisioni della propria famiglia. Quanto coraggio ci vuole per fare questa scelta? Quanta disperazione? A fronte di quelle poche che sono riuscite a ribellarsi ancora tante, troppe, subiscono quella condanna a vita. L’attenzione di tutti noi deve essere altissima, costante e determinata a ricordarci che la libertà di scelta è individuale e non anagrafica e che l’ampliamento del riconoscimento dei diritti di ogni individuo rappresenta per la società l’unico e vero obiettivo di piena dignità e integrazione.

Filomena Albano

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