29/05/2014 Editoriale

Sogno le olimpiadi dei valori

Questo pensiero mi è venuto mentre ascoltavo gli interventi, di vita e di pensiero, al workshop “Sport e integrazione: la vittoria più bella” organizzato dal Coni e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ho sentito i racconti dei casi virtuosi delle associazioni che lavorano con i ragazzi per favorire l’integrazione col grimaldello del pallone;  mi hanno toccato esperienze sul campo (è il caso di dirlo) come quella raccontata da Klaudio Ndoja, il giocatore di basket della serie A più volte bersaglio di frasi offensive (“Albanese di m…”); e con interesse ho seguito le considerazioni dei presidenti delle federazioni, dei politici presenti, del presidente del Coni. 

Però mi è partito quel pensiero annunciato prima, quasi in automatico e condito di amarezza: possibile che siamo ancora qui a discutere di come far passare il concetto che accettare gli altri, confrontarsi con le diversità, ascoltare e “inglobare” anziché espellere sia il concetto cardine di un Paese civile? Eppure è così, la scuola fa molto, ma molto di più deve fare. Le famiglie, nucleo centrale nella formazione di un individuo, devono essere sostenute in tutti i modi, anche culturalmente.

Il decalogo stilato dal comitato scientifico di cui faccio parte è lo specchio, in chiave sportiva, dei diritti basilari di ogni persona; è un sunto dei principi cardini della nostra civiltà; è un memo per ricordare che i naturali istinti aggressivi devono essere governati dalla ragione e dall’educazione. Le regole da seguire per essere #fratellidisport sono concettualmente le stesse che dovremmo applicare nella nostra quotidianità. Tifa per chi vuoi ma soprattutto per l’uguaglianza: è quanto ricorda la seconda regola. Dai quello che hai in corpo e non dimenticare di dare il buon esempio: recita la nona…E poi: non fingere, non barare, non cercare di vincere a tutti i costi…Lealtà e fair play devono essere sempre al primo posto…
Non sono questi principi universali, auspicabili sempre, anche in politica?
Certo, lo sport è uno strumento potente di coesione sociale, è anche un “mezzo di comunicazione” eccezionale che arriva alla testa, al cuore, alla pancia. Nelson Mandela diceva che “lo sport ha il potere di cambiare il mondo”, ma lo sport può anche riconoscere che il mondo è cambiato, che ormai siamo un villaggio globale come diceva uno studioso, che la cittadinanza sportiva non guarda al passaporto, né al colore della pelle. E invece noi siamo ancora qui a discutere di ius soli…

Occorre uno scarto in avanti: bisogna ad esempio adeguare aspetti legislativi ormai datati. Bisogna ricordare alla politica che il diritto allo sport è per l’appunto un diritto, il che significa strutture, finanziamenti, campetti anche nei piccoli comuni.

Lo sport può insegnare molto, a cominciare dal valorizzare diversità e unicità. Vale per i ragazzi di origine straniera come per le persone con disabilità o per coloro che vivono un disagio socio-economico. Penso a quanto per esempio sia importante l’attività sportiva per i minorenni che devono scontare pene detentive.

Il mio personale impegno e quello dell’Autorità sarà di divulgare il più possibile questo manifesto e farne oggetto di iniziative concrete.

Lo sport è importante, come formazione fisica e morale. Sogno le “Olimpiadi dei valori”
Nello sport non ci possono essere discriminazioni. Perché, nella realtà, sì?

Vincenzo Spadafora

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