Terragni: “Prelievo forzoso dei minori: misura eccezionale, non può essere normalizzata”
L'Autorità garante: il caso del “bosco" riaccende il tema: ascolto del minore e sostegno alle famiglie sono principi inderogabili.
L’allontanamento un minore è “una misura estrema alla quale ricorrere dopo aver valutato attentamente le ripercussioni che un simile provvedimento può produrre sul benessere psicofisico del minore e sempre avendo come faro il superiore interesse sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Così si è espresso Carlo Nordio, Ministro della giustizia, nel corso di un question time alla Camera a proposito del caso della “famiglia nel bosco”. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Marina Terragni si riconosce integralmente nelle parole del Guardasigilli, con il quale ha aperto da tempo un’interlocuzione – così come con il Ministero degli interni – sul tema dei prelevamenti forzosi dei minori.
“Il caso della famiglia di Palmoli ha avuto il merito di accendere i riflettori su un tema da sempre alla nostra attenzione”, dice Marina Terragni. “Purtroppo mancano dati: non conosciamo il numero dei bambini ospitati nelle strutture, né esiste un censimento di esse. Neppure è noto il numero dei minori prelevati ogni anno: gli ultimi numeri disponibili, del 2019, parlano di 8 mila prelevamenti annui. Né si conoscono nel dettaglio le motivazioni dei prelevamenti, il tempo medio di permanenza e il bilancio di queste esperienze”.
“Il ddl Affido Roccella-Nordio, – prosegue Terragni – già approvato alla Camera e attualmente al vaglio in Commissione Giustizia al Senato, si propone finalmente di colmare queste lacune introducendo registri nazionali e istituendo un Osservatorio nazionale sugli istituti di assistenza, comunità e famiglie affidatarie. Esso rafforza, in tal modo, il principio del superiore interesse del minore e il suo diritto a crescere in un contesto familiare, in conformità con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”.
L’Autorità garante ribadisce alcuni principi da considerare inderogabili: “Il prelevamento dei minori deve costituire una misura del tutto eccezionale e temporanea, applicabile unicamente quando l’incolumità del minore sia a rischio comprovato. Infliggere il trauma del collocamento in casa-famiglia, provvedimento che si configura come inflizione di una pena a un innocente, è giustificabile solo in casi estremi, quando la vita del bambino corra un pericolo effettivo e imminente. Unicamente in questi casi, inoltre, i tribunali dovrebbero disporre l’intervento delle forze dell’ordine – e solo in ausilio ai servizi sociali – per trasferire il minore in casa-famiglia, ma la sua eventuale resistenza non può essere oggetto di coazione”.
“Al riguardo – ricorda Terragni – una sentenza della II sezione penale del Tribunale di Lecce del 23 febbraio 2023 afferma che se il minore non intende ottemperare e si oppone, nessun organo delegato all’esecuzione può porre coazione fisica nei confronti dello stesso. Vi è poi la sentenza della Cassazione civile, sez. I, ord. 24 marzo 2022, n. 9691, in cui si afferma che ‘l’uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, (…) non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto’ e si ribadisce l’imprescindibilità dell’ascolto del minore”.
In conformità alle normative internazionali e nazionali, sottolinea l’Autorità garante, il minore va ascoltato personalmente dal giudice – non basta la perizia del Ctu – in tutti i provvedimenti che lo riguardino e della sua testimonianza e della sua volontà si deve tenere il massimo conto. Una recentissima ordinanza della Cassazione Civile (sez. 1- 22/11/2025 n. 30767) ribadisce l’inaggirabilità dell’ascolto.
E ancora: il concetto a-scientifico di alienazione parentale – Pas o suoi succedanei (genitore malevolo, ostativo, simbiotico ecc.) – non è utilizzabile nei procedimenti giudiziari che riguardino l’affidamento del minore, come ribadito dal Grevio del Consiglio d’Europa, dal Parlamento Europeo, dalle Nazioni Unite, dallo stesso Libro bianco contro la violenza prodotto dal ministero per la Famiglia e le pari opportunità.
Il principio della bigenitorialità – sempre per la titolare dell’Autorità – non può essere osservato laddove a carico di uno dei genitori vi siano accuse di violenza o allegazioni di violenza: la stessa violenza assistita è classificata come abuso ai danni del minore. Allo stesso modo non possono essere messe in atto le cosiddette “terapie di riunificazione” volte a ricongiungere il minore con il genitore rifiutato, “terapie” altrettanto a-scientifiche che la Special Rapporteur antiviolenza dell’Onu Reem Alsalem, parlando di “campi di riunificazione” ha recentemente definito “violenza e tortura”.
“Le primissime misure da considerare in caso di problematiche che investano i minori – conclude Marina Terragni – restano la prevenzione e il sostegno alle famiglie fragili, evenienza purtroppo sempre più frequente, a patto che non vi siano violenza o allegazioni di violenza. L’Autorità garante ha già richiesto al Ministero dell’Università un irrobustimento del ciclo di formazione riservato agli assistenti sociali e continuerà nel suo impegno formativo, già espletato per le forze dell’ordine, allargando la formazione agli avvocati specializzati in famiglia, ai curatori speciali e ai Ctu”.


