10/12/2025 Notizie
Partecipazione

Consultazione Agia su guerra e conflitti, la lettera del professor Diego Miscioscia

Psicologo e psicoterapeuta, formatore contro i conflitti e per la pace, difende dagli attacchi il questionario per gli adolescenti alla cui stesura ha collaborato.

Consultazione Agia su guerra e conflitti, la lettera del professor Diego Miscioscia

“In questi giorni – prima Il Fatto Quotidiano e Otto e mezzo di Lilli Gruber, e in seguito Il Manifesto – hanno sollevato polemiche pretestuose riguardo alla nostra consultazione Guerra e conflitti rivolta a ragazzi e adolescenti tra i 14 e i 18 anni”. Marina Terragni torna ad affrontare il caso sollevato nei giorni scorsi a proposito dell’iniziativa di partecipazione, analoga ad altre svolte in passato, promossa dall’Autorità garante.

“Se Il Fatto ha parlato di ‘domande patriottiche’ con particolare riferimento al quesito ‘Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?’, Il Manifesto titola un articolo a firma di Luciana Cimino addirittura ‘Europa e moschetto. La scuola del governo prepara alla guerra”, falsificando la domanda in “Ti arruoleresti per la patria?’”.

“Precisato che sia Luciana Cimino sia Elisabetta Reguitti, la giornalista che ha firmato per Il Fatto, sia Lilli Gruber – prosegue Terragni – non hanno ritenuto di interpellarmi direttamente e nel merito, procedendo a un ridicolo character assassination (vedi qui), ritengo che la migliore risposta possibile sia quella del professor Diego Miscioscia, socio fondatore del Minotauro, psicoterapeuta e formatore contro i conflitti e per la pace, nonché autore del saggio La guerra è finita. Psicopatologia della guerra e sviluppo delle competenze mentali della pace, che insieme ai giovani della Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Agia ha collaborato alla redazione delle domande del questionario”.

La lettera del professore Diego Miscioscia

Come mi aspettavo vista la delicatezza di questo tema in questo momento storico, ho dovuto registrare commenti “gratuiti” sulle finalità della ricerca stessa da parte di alcuni giornali (mi riferisco al “Sole 24 ore” e al “Fatto quotidiano”) e critiche da parte di qualche professore esperto di statistica sull’impostazione di alcune domande.

Pur non essendo un grande esperto di statistica, personalmente ritengo invece che il questionario sia completo, ma soprattutto urgente e necessario. Questa ricerca, infatti, ha il pregio di dare finalmente la parola ai ragazzi su un tema che li riguarda in prima persona. Come osservavo nell’intervista radiofonica di mercoledì scorso (il prossimo mercoledì mi intervisteranno di nuovo sulla nostra ricerca su Radio 1 alle 10:30), l’accelerazione della storia fa sì che le vecchie generazioni non riescano più a tenere dietro al cambiamento di valori e paradigmi esistenziali da parte delle nuove generazioni. Già nel mio libro del 1999 sulla cultura giovanile (Miti affettivi e cultura giovanile), osservavo che stava nascendo una nuova generazione, la Zeta, globalizzata ed ecopacifista, ma anche fragile emotivamente e facilmente portata a chiudersi narcisisticamente in se stessa di fronte alle difficoltà della vita adulta, una generazione, dunque, poco capace di dare pienamente corpo nel sociale ai propri valori.

Gli studiosi e ricercatori del Minotauro (Istituto di analisi dei codici affettivi, che insieme a Franco Fornari e Gustavo Pietropolli Charmet ho fondato nel 1984) in questi anni, oltre ad avere dedicato come psicoterapeuti la propria attenzione alle fragilità del mondo giovanile, hanno seguito la faticosa trasformazione da parte delle nuove generazioni dei loro “codici affettivi naturali” in valori veri e propri (i codici affettivi, in sostanza, sono circuiti mentali filogenetici che ci orientano inconsapevolmente nel corso della vita a fare scelte e a prendere decisioni affettive sulla base dei parametri utili per la nostra sopravvivenza come specie). In questo processo, se è vero che i diversi movimenti politici hanno offerto ai giovani la possibilità di capire meglio come concretizzare eticamente e socialmente il proprio orientamento affettivo, tuttavia, essi li hanno anche disorientati, sia offrendo loro l’immagine di un confronto politico “troppo radicalizzato” tra i diversi partiti, lontano quindi dall’attuale stile di funzionamento delle nuove generazioni che è più rivolto all’integrazione, sia non rispondendo adeguatamente ai nuovi interessi e alle nuove sensibilità affettive ed etiche dei giovani.

I dati che stanno emergendo dalla nostra ricerca, peraltro congrui con quelli di altre ricerche in altri Paesi (una recente ricerca dell’Ispi rivela che solo un terzo dei cittadini europei si dichiara disposto a combattere per il proprio Paese), mostrano che il mondo adulto ha bisogno di confrontarsi meglio con l’indole pacifista e globalizzata delle nuove generazioni. Capire come si può conciliare la difesa della nostra nazione e dell’Europa in questo momento storico con i valori delle nuove generazioni è la sfida che propone anche questa ricerca. 

Personalmente, anche in altri momenti, ho sempre sostenuto che la cultura italiana, rispetto a quella di altri Paesi europei e a quella di altre “Grandi Potenze” ha nel suo Dna un punto di grande forza proprio sul tema delle “abilità della pace”. Una serie di fattori storici e psicologici ci favoriscono in tal senso: come nazione siamo nati dall’integrazione di due culture sociali differenti, quella del nord e quella del sud, dopo ottant’anni siamo ormai diventati una democrazia matura e rispetto ad altre nazioni come la Gran Bretagna e la Francia abbiano meno “nostalgie imperiali” (“quando eravamo i padroni del mondo”, come recita il titolo di un recente libro di Cazzullo, in realtà si riferisce a processi di identificazione collettiva ormai deboli e superati, vista la loro antica datazione; come dimostra la Brexit, invece, ben diverso è il vissuto della popolazione inglese), non avendo armi atomiche, pur essendo una grande nazione, siamo meno tentati da identificazioni onnipotenti come dimostra invece la grandeur di cui fa sfoggio spesso la Francia. Coniugare l’autorevolezza che abbiamo sul piano culturale e politico con la capacità di promuovere la pace dovrebbe essere la nostra vera mission, il nostro vero punto di forza. Auspico che il mondo della politica colga questa opportunità che può fare dell’Italia una grande potenza della pace e spero che questa ricerca rappresenti un primo passo in questa direzione.

Diego Miscioscia 

(Nella foto il professor Diego Miscioscia, foto Minotauro)