13/01/2016 Editoriale

Ridiamo ai bambini e i ragazzi della Campania il "diritto di respirare"

Ho ancora fisso in mente il ricordo di mia madre che chiudeva la finestra della nostra casa di Cardito. Non lo faceva per il caldo e nemmeno per il freddo: ma per la puzza. La puzza di quell’inquinamento che già allora saliva dalla strada, che appestava la terra, fino ad entrarci dentro ai polmoni. Io sono nato e cresciuto proprio in quelle città che oggi sono il centro della cosiddetta Terra dei fuochi. Quindi so cosa significa vivere lì dove si combatte quotidianamente per non lasciare il passo alla criminalità, per non dargliela vinta ancora una volta. Per non lasciare che  per i giovani l’alternativa più semplice ad una vita fatta di privazioni sia quella della camorra, assai più remunerativa, ma che conduce inevitabilmente a due strade: la morte o la galera. Ed è per questo che nel mio ruolo di garante, oltre che di cittadino, mi sento salire una profonda rabbia quando leggo notizie come quella riportata nell’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità sullo stato di salute della Terra dei fuochi. Ebbene, secondo l’Iss in queste zone a causa delle discariche illegali e dei rifiuti tossici assorbiti negli anni dai terreni, le esalazioni avrebbero portato ad un drastico aumento dei bambini ricoverati per tumori nel primo anno di vita. Ma leggendo mi chiedo: come sarebbe stato possibile il contrario? Quando i nostri bambini e ragazzi vivono, mangiano e bevono quegli alimenti e quell’acqua ormai contaminata, come potrebbero non ammalarsi? Soprattutto come potrebbe non essere così per quelli appartenenti alle famiglie più disagiate, su cui ricade per di più la scure non soltanto del degrado sociale ed economico, ma anche del difficile accesso a misure di prevenzione e cura? Quale futuro è immaginabile per loro?

Un elemento altrettanto grave riguarda la coscienza civica che questi stessi ragazzi elaboreranno dentro loro stessi, sapendo di essere stati lasciati, insieme alle loro famiglie, abbandonati alla tossicità di una terra che, se non fosse per l’illegalità ormai diffusa, sarebbe ben altro. Con quale faccia potremmo andare a chiedere loro di rispettare lo Stato, di credere nelle istituzioni, di affacciarsi alla vita con speranza se i primi a levargliela o quanto meno a non garantirgliela siamo stati proprio noi?

Se la generazione del futuro sarà ‘affetta’ nel corpo e nell’anima avremo perso tutti, sarà colpa di tutti noi, ognuno nella sua quota parte. Sarà una sconfitta altrettanto forte, quanto quella che ci viene oggi dal rapporto dell’Istituto, che sancisce con l’aumento delle patologie tumorali, delle morti e dei ricoveri della popolazione una ferita importante al cuore dello Stato, ma che possiamo ancora sanare, e salvare così le vite delle tante persone che vivono in quelle zone, bonificando quei terreni. Questo si era impegnato a fare il governo, che ha messo a disposizione risorse anche nella legge di Stabilità. A noi tutti il compito di assicurarci che questo impegno venga mantenuto.

A questo è necessario affiancare una battaglia culturale, che contrasti anche tutti coloro che ogni giorno sminuiscono o minimizzano il problema. “Qui ci levano anche il diritto di respirare”, mi ha detto don Patriciello, da sempre in prima linea nella lotta alla criminalità e all’inquinamento ambientale insieme a figure istituzionali di eccellente professionalità come il Generale Sergio Costa. Persone coraggiose che non dobbiamo lasciar sole.

Ce ne sono tante di terre dei fuochi, non è solo un prodotto del sud Italia, ma parte integrante di un sistema malato che ha dimenticato che il pianeta che viviamo lo dobbiamo restituire alle giovani generazioni. Anche questo è un loro diritto.  

Vincenzo Spadafora

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