09/03/2015 Editoriale

Bilancio di metà Tour? Più Stato, più sostegni

Sono a metà strada del Tour che ho fortemente voluto, convinto come sono che il Paese non lo si capisce da un ufficio, ma girandolo. È da sempre che questa convinzione mi accompagna e così ho, nel mio archivio emotivo, incontri forti, storie dai vissuti difficili, qui in Italia come all’estero.
Eppure questo Tour mi sta lasciando una traccia per certi versi inaspettata, quasi una ferita. Provo a spiegarmi: io rappresento lo Stato, io credo fortemente nel valore dello Stato come fonte di diritti individuali e collettivi, come insieme di valori e di idealità. Il Tour Diritti al futuro, partito il 15 febbraio da L’Aquila, città simbolo della distruzione e della ricostruzione (parziale), è stato pensato per mettere sotto i riflettori «le buone pratiche» facendole conoscere, cercando di metterle a sistema. Abbiamo individuato cioè dieci situazioni in cui la risposta a degrado/dolore/disagio sociale è stata forte, e spesso è partita dalla generosità di pochi e dalla voglia di non subire il nero della vita.
Le prime cinque tappe ci hanno confermato nelle scelte operate, perché ovunque abbiamo trovato esempi da imitare, moniti pesanti a chi si arrende. Ne abbiamo altre cinque davanti, toccando altrettante regioni.

Però… ecco il però che mi corre l’obbligo di ricordare. Molte delle storie intercettate in queste settimane di tour portano il segno di un disamore profondo nei confronti dello Stato, se non di un’ostilità aperta, talvolta persino “giustificabile” nel senso di comprensibile considerato il contesto socio-culturale in cui quelle storie si sono sviluppate.

A Nisida, l’istituto penale per minorenni di Napoli, un’assoluta eccellenza, mi sono confrontato con alcune decine di ragazzi nel loro laboratorio di politica. «Qui lo Stato non c’è mai stato», ha detto una ragazza. «Il marcio sta da tutte le parti ma il primo a toglierlo deve essere lo Stato. Se lui è il primo ad essere corrotto, è difficile pretendere che ci comportiamo bene». Oppure: «Noi dovremmo fare i nostri doveri senza avere i nostri diritti». O ancora: «Parlano di munnezza qui a Napoli. E di Roma capitale… dei milioni che si sono rubati?!?». «I servizi qui non li abbiamo». «Ognuno pensa ai fatti suoi… ».

Sono solo esempi. Frasi che mi sono rimaste appiccicate addosso. Ma ovunque ci siamo fermati con il nostro tour, abbiamo sentito parlare di fondi non arrivati, di soluzioni trovate grazie a privati, di idee portate avanti da associazioni e operatori. Onlus e singoli individui: c’è chi ha voluto costruire un campo di rugby sulle macerie del terremoto per dare ai ragazzi un’opportunità di sport e socializzazione (a L’Aquila); c’è chi ha creato lo Spazio giallo (al carcere di Opera Milano), dove far incontrare i padri detenuti con i loro figli e disegnare insieme, così per conoscersi e avvicinarsi, o si è inventato una casa dove far vivere mamme recluse con i figli (sempre a Milano); c’è chi si è inventato un festival per far riscoprire ai ragazzi la forza e la bellezza della lettura e chi ha messo insieme le forze per superare le difficoltà (a Rimini); chi ha trasformato la scuola in un esempio di integrazione in un quartiere con molte etnie (a Torino).

Direttori di carcere o di istituto, presidenti di associazioni… tutti a dire che stanno stringendo i denti e che stanno aspettando l’aiuto dello Stato, che avrebbero bisogno più risorse, economiche e professionali, per continuare a lavorare così, nel rispetto e nella dignità dei singoli.

Dunque, più Stato, più sostegni alle singole realtà. È questo il messaggio di metà Tour.

La rete sociale, che nel nostro Paese si è indebolita per i ripetuti tagli alle politiche sociali dei vari governi, deve essere ricostituita e subito. Il nostro tour racconta l’Italia che spesso supplisce lo Stato. E questo è un male: è prezioso l’accordo fra privato e pubblico, aiuta a far rispettare i diritti di bambini e ragazzi. Ciò che però non è accettabile è il vuoto lasciato dalle scelte politiche, soprattutto in alcune zone. Come uomo dello Stato, non posso sentire una frase come quella della ragazza di Nisida: «Qui lo Stato non c’è mai stato». E non era un gioco di parole. 

Non posso che fare di tutto per far muovere la politica verso i bisogni di chi ha meno di 18 anni. Controllando che stanziamenti, annunci e politiche sociali siano realmente attuati e non rimangano nel mondo etereo delle parole in libertà.

Vincenzo Spadafora

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